2010
37 x 27 x 27 cm
Pietra bianca irpina, ghiaia e pigmento in polvere.
Una testa, forse decapitata, è stata catapultata a terra: quella stessa terra che invoca il dio Marte nella sua ora più buia. È una scena frammentata: nello squarcio di luce aperto sulla ghiaia, calpestata da tenebre serrate intrise di sangue, la truculenta contorsione del capo, in un grido di aiuto o di carica, non lascia scampo. In questa oscurità si fa largo un peso insostenibile, schiacciante: il peso dell’oppressione. E in quell'ululare ad una Luna indifferente, risiede un’afflizione sconfinata, armata del suo stesso smarrimento. E poi improvvisamente sentirsi tirare fuori, spinti alla vita da un urlo, un urlo strozzato, di uno stridore incalzante, che fende l'aria cruenta. Un impeto che Maria Rachele Branca (Bagnoli Irpino, 1965) porta nella scultura, sia essa plasmata nell’argilla, che scolpita – come in questo caso – nella pietra, con un forte senso materico. Rifuggendo la plasticità tradizionale, l'artista irpina è riuscita a trovare il suo equilibrio stilistico in linee che spesso raccontano di donne – anche qui i tratti sono delicati, in quanto si tratta di una divinità, seppur maschile e romana – e in una scultura organica atta ad intrappolare la luce e le sue ombre. La ricerca di tematiche impegnate, trattate sempre con compostezza, in “Marte che ulula alla Luna” (2010), viene scardinata da un bisogno di rottura, di catastrofe. Accostando effetti di chiaroscuro installativi, la visione arcaicamente onirica del rapporto uomo-natura si fa mitologia in chiave moderna: qui la divinità si riappropria della sua essenza primordiale. L’insanabilità di questo conflitto nel sistema rituale e psicoanalitico conferisce maggiore intensità all’opera, in grado di catturare l’occhio dello spettatore dentro il campo di battaglia dell’arte.
L’installazione prevede una traduzione musicale dei Makardìa del Carmen Lustrale: un’antichissima preghiera rituale rivolta a Marte, per ottenere la protezione e la purificazione(lustratio) dei campi coltivati.
Testo di Rossella Della Vecchia
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